Rifugio Malga Consèria – Cima Socede

 

Percorso della memoria L38

Partenza e arrivo

Ponte Conséria

Tempo di percorrenza

4 ore e 30 minuti

Grado di difficoltà

Facile per escursionisti

Descrizione del percorso

Dalla Loc. Ponte di Conséria (m 1471), si imbocca il sentiero SAT 326 con segnaletica Passo Cinque Croci-Forcella Magna-Cima d’Asta. In corrispondenza del secondo tornante della strada forestale per Passo Cinque Croci, aiutati da analogo cartello, si piega a destra su una strada sterrata. Appena oltrepassata una piccola valletta si imbocca il sentiero sulla sinistra che si inerpica puntando diritto al Rifugio Malga Consèria (m 1821), ove si giunge dopo circa 1 h. 15′. Si prosegue attraverso l’ampio prato della Malga verso Passo Cinque Croci. A circa metà strada si incontra il Monumento ai Caduti di tutte le Guerre, eretto dal locale Gruppo Alpini sul luogo ove sorgeva un cimitero ove erano stati sepolti soldati italiani, perlopiù vittime delle valanghe staccatesi copiose dai colli circostanti nella primavera del 1917 (m 1936). Si giunge quindi al Passo Cinque Croci in 45′. (m 2018). Si prende a destra il “sentiero della memoria” L38 con indicazioni “Museo all’aperto Prima Guerra Mondiale”, salendo lungo il dolce costone erboso di Cima Socede. In 30′ si raggiunge la vetta, senza alcuna difficoltà (m 2173). Qui si trovano i resti delle prime baracche della postazione avanzata italiana. Sul cocuzzolo più alto si trova un osservatorio con cannocchiale attraverso il quale si possono conoscere i nomi di tutte le cime visibili a 360° da questo eccezionale balcone panoramico. Da qui è visibile la Catena del Lagorai nella quasi sua interezza, linea di confine durante il primo conflitto mondiale, mantenuta salda dagli austroungarici che, fin dai primi giorni dell’entrata in guerra dell’Italia, avevano stabilito su queste vette impervie ed inaccessibili la loro postazione difensiva principale Alle spalle, tutto il Gruppo di Cima d’Asta, la dorsale di Cima Lasteati, Monte Cengello, Cresta Ravetta fino a Monte Cima, monti sui quali gli italiani costruirono baracche, caverne, postazioni per artiglieria, trincee e strade di collegamento con il fondo valle; delle vere e proprie cittadelle di soldati dalle quali partirono i maggiori attacchi verso le linee austroungariche, dal maggio del 1915 fino alla disfatta di Caporetto, avvenuta i primi giorni di novembre del 1917. Proseguendo sul sentiero della memoria L38 si scende per qualche decina di metri fino a giungere al nucleo principale della postazione avanzata italiana di Cima Socede. Resti di baracche, trincee e caverne, ripulite dai detriti e consolidate a seguito di un recente intervento di ripristino, rendono perfettamente l’idea di come era organizzata e fortificata la postazione di questo tristemente conteso colle a controllo dell’importante valico del Passo Cinque Croci. Si scende ancora immettendosi poco più a valle sul sentiero SAT 326 che si percorre in direzione Passo Cinque Croci. Da qui si discende, sempre con segnavia SAT 326, al Rifugio Malga Consèria e quindi al punto di partenza presso Ponte Consèria.

Foto 

Approfondimento

CIMA SOCEDE

Cima Socede (m 2173) è un modesto rilievo che fa parte della cosiddetta “regione dei colli”.
Si sviluppa come estrema propaggine di Cima Lasteati verso il Passo Cinque Croci (m 2018). Sulle carte militari italiane il suo culmine era indicato anonimamente come quota 2179 e nel giugno del 1916 divenne oggetto di un’aspra contesa. Con l’azione della notte del 16 maggio gli austriaci si erano ripresi non solo il Colle di San Giovanni ma avevano occupato, contrastati da una debole opposizione, anche la Cima Socede e la zona dei laghi dei Lasteati (pop. laghetti dei zengéi), minacciando così seriamente la linea italiana che correva tra Forcella Magna e Forcella Buse Todesche. Due settimane più tardi cadeva nelle mani degli ungheresi del gruppo di combattimento Valsorda anche l’Alpe di Consèria (pop. Cima Nàssare), avamposto a protezione dello snodo di forcella Buse Todesche. Di conseguenza nel comando italiano della 15^ Divisione la preoccupazione aumentava e si decise perciò di correre ai ripari. Fu predisposto un piano per la riconquista del territorio dei laghi dei Lasteati sino a Passo Cinque Croci e ne fu stabilita la data del 17 giugno 1916. Dell’operazione fu incaricata la 263^ Compagnia del Battaglione Val Brenta, integrata da una sezione mitragliatrici, fatte concentrare a Forcella Magna. L’ordine era di occupare la linea che andava da quota 2081 fino a quota 2179 (Cima Socede) in modo da poterla mantenere stabilmente.
Quota 2081, un cocuzzolo tondeggiante subito a sud–ovest (??) di Cima socede poteva sembrare un obiettivo facile; non così quota 2179 con la movimentata sommità, a tratti rocciosa, attrezzata dagli austriaci con solide opere di difesa e che fungeva da ottimo punto di osservazione dei movimenti delle truppe italiane.
A nulla era valso un tentativo del capitano Zonta, comandante della 263^ Compagnia del Val Brenta, di far rinviare l’operazione alla notte successiva per poter contare sull’effetto sopresa di un avvicinamento e un attacco al buio: niente da fare, l’azione doveva effettuarsi con inizio alle 4 del mattino e svilupparsi come previsto “per plotoni”, ognuno con compiti ben precisi.
E così tre plotoni andarono all’assalto, ben visibili alla luce del giorno, su per il ripido pendio verso i reticolati sottostanti Cima Socede dove era logico incontrassero un’accanita resistenza. Per non restare inchiodati e facili bersagli, fu chiesto allora l’appoggio dell’artiglieria di forcella Magna e di Forcella Buse Todesche. Due plotoni riuscirono così ad espugnare alla baionetta una parte una parte della linea austroungarica. Ci furono i primi caduti e feriti, soldati ed ufficiali; gli alpini del Val Brenta si stavano avvicinando alla sommità di Cima Socede quando furono costretti a fermarsi causa il tiro micidiale di due mitragliatrici austriache piazzate a Col San Giovanni.
A nulla valse neanche l’intervento del plotone impiegato precedentemente in un’azione diversiva, anche se la 263^ era arrivata a dieci metri dalle postazioni avversarie. Quando entrò in azione anche l’artiglieria austriaca del Montalon, i superstiti furono autorizzati a consolidarsi sul terreno conquistato. E non solo si rafforzarono sulle posizioni ma tennero anche decisamente testa ai furiosi contrassalti austriaci. Volontà de comando italiano era quella di far proseguire l’azione al tramonto con l’intervento di una compagnia del battaglione Val Cismon fatta affluire sul posto. Però il rischio che gli alpini potessero venir circondati – erano stati notati tentativi di aggiramento da parte di nuclei austriaci – fece cambiare idea al comandante del Val Brenta, maggiore Buzzetti, che provvide a trasmettere l’ordine per il rientro a Forcella Magna.
Paolo Monelli, testimone di quella sfortunata azione, riportava con amarezza nel suo diario: “……Un combattimento triste e finito male con i veci del Val Brenta su questi cocuzzoli di fronte, tanto per aumentare il bottino di morti al cimitero di Malga Sorgazza…..”.
In effetti le perdite del Val Brenta furono di 20 uomini, 6 furono i morti. Tra questi il sottotenente Paolo Marconi, colpito da una pallottola esplosiva al fianco. Il suo corpo fu recuperato sotto il fuoco avversario da tre coraggiosi alpini del suo plotone. Poco prima di avviarsi da Forcella Magna verso il suo triste destino aveva scritto alla sua famiglia solo quattro parole sul retro di una cartolina: Io sto bene. Paolo

COLLE DI SAN GIOVANNI E PASSO CINQUE CROCI

Passo CinquE Croci (m 2018) è così chiamato perchè qui convergono i territori di cinque pascoli (Consèria, Valsorda, Cengello, Socede e Valcion) appartenenti ai quattro comuni di Pieve Tesino, Castello Tesino, Cinte Tesino e Scurelle. Subito a nord si eleva il Col San Giovanni, Col Sangiuàni per gli alpini veneti dei battaglioni Feltre, Val Cismon e Val Brenta che si sarebbero dannati non poco prima di riuscire ad occuparlo stabilmente.
Alto poco più di 230 metri sul Passo, è situato in posizione strategica a cavallo tra la Val Campelle e la Val Reganella, nella cosiddetta “regione dei colli” comprendente a est Cima Socede, a ovest Col della Palazzina ( San Giovannino) e Col dei Fiori e, più a nord Col degli Uccelli e Col del Latte.
Ambito da ambedue i contendenti per le possibilità di utilizzazione come osservatorio avanzato e punto di partenza per rapide azioni offensive, all’inizio della guerra era una propaggine della linea austriaca del Lagorai, presidiata solo da pochi volontari e territoriali tirolesi, gli Standschützen ed i Landstürmer. A quell’epoca la bilancia delle forze contrapposte pendeva certamente a favore del Regio Esercito: da una parte la 15^ Divisione italiana con le due Brigate di fanteria oltre a battaglioni di alpini, bersaglieri e riserve. Dall’altra la 90^ Divisione imperialregia anch’essa composta da due Brigate però con forti aliquote dei citati Standschützen e Landstürmer, elementi di classi molto giovani o in là con gli anni, scarsamente equipaggiati e peggio armati che però si sarebbero distinti e comportati egregiamente durante la guerra. Allo scoppio della guerra, entro i confini de Tirolo, queste milizie locali vennero impiegate in ogni luogo ed in ogni ruolo, dalla prima linea al servizio salmerie, dalla gendarmeria alla costruzione di linee difensive; e dovunque si comportarono con onore, battendosi bene e resistendo tenacemente ai disagi che dall’inizio del ’17 cominciarono ad affliggere gravemente l’esercito asburgico.
Sulle Fassaner Alpen, l’odierno Lagorai, si alternarono i reparti: Rattemberg, Reutte II, Meran I, Meran II, Cavalese, Rankweil, Kaltern I, Bludenz, Feldkirch, Auer, Zillertal, Sterzing, Oberösterreich Freiwillige Schützen, Cavalese, Trodena, Montagna, degni avversari dei battaglioni alpini che si sarebbero trovati di fronte.
Le iniziative italiane però furono dapprima alquanto timide: una provvisoria occupazione del Col di San Giovanni e del passo sottostante si concretizzò il 2 agosto 1915 ma quella definitiva doveva avvenire appena nel luglio del ’16 quando vi venne distaccata in permanenza una compagnia di alpini.
In tutto vi furono 13 passaggi di mano. Spesso l’occupazione durava pochissimo tempo per via delle posizione estremamente esposta ed a causa degli avvenimenti che potevano svilupparsi nei vicini territori a sud-ovest. E così il valico ed il colle restavano sì “terra di nessuno” ma erano tenuti sotto strettissima vigilanza dalle due parti con l’invio nei pressi di pattuglie esploranti, anche di notte e utilizzando gli sciatori quando venne la neve. Talvolta si predisponevano agguati per catturare prigionieri e gli austriaci interravano anche tagliole e trappole esplosive che, in un caso, causarono vittime tra gli ufficiali del Val Cismon. Sul San Giovanni si ferì mortalmente, maneggiando incautamente una bomba a mano austriaca Luigi Barèl, esploratore del Feltre e una delle figure di alpini ritratte con particolare simpatia da Paolo Monelli ne Le scarpe al sole. Anche la salma dell’alpino Barèl fu portata a riposare nel cimitero di Malga Sorgazza. Anche il sottotenente Paolo Marconi era stato con i suoi alpini di turno a presidiare il Colle. Così scriveva ai suoi famigliari:
“Col San Giovanni, 16 maggio 1916.
…….Dicono che una volta o l’altra anche il nostro battaglione andrà a riposo. Sarebbe ora veramente: ma io per continuare in buona salute non desidero che rimanere quassù ora che si comincia a sentire salir dal basso la primavera nelle giornate di sole su questi monti, è una delizia. La neve si scioglie in modo miracoloso. In alcuni punti raggiunge a mala pena il metro di altezza. Altrove, sopra le rocce e sui costoni maggiormente esposti, è già scomparsa, e in mezzo al gran candore si scorgono ampie chiazze brune di terra. Ma giù nel bosco è un rigoglio, è una mirabile pompa di selvaggia solennità…….il combattente ascolta raccolto nel suo silenzio fatale: certo ricorda cose lontane; forse sente il suo cuore agitato dalla commozione. Ascolta e tace. Poi lo desta la prima cannonata che attraversa fischiando la maestà del cielo sereno. Scoppia sul suo capo con grande fragore, e il cuculo canta volando fra i più alti abeti. E’ giorno: si ricomincia!….

Proprio la notte seguente un attacco di sorpresa di un forte contingente di Standschützen e di Landstürmer e fanteria ungherese costringeva gli alpini a ritirarsi sulle posizioni di Forcella Magna.
Ci sarebbero voluti ancora quasi due mesi, con la ripresa dell’iniziativa da parte italiana e l’affievolirsi della spinta della Strafexpedition, perché il colle ritornasse, stabilmente questa volta, in mani italiane.
Sui declivi del Col di San Giovanni i segni dei lavori di guerra sono stati in buona parte cancellati a causa della scarsa consistenza del terreno prativo, però si può riconoscere ancora il sistema di trincee attorno al crinale ed alla base del rilievo. Sui versanti e sulla cresta, dopo la conquista, gli italiani realizzarono postazioni per mitragliatrici, linee protette e gallerie come racconta il cappellano del Feltre don Luigi Agostini nelle pagine del suo diario relative al 1916:
“…..Il 7 luglio il S.Ten. Caimi cogli esploratori si spinge fino al Co San Giovanni che trova sgombro. Su quella posizione vien subito mandata la 66^ Compagnia, poi la 64^. Quel colle viene ridotto a una fortezza con reticolato tutt’intorno, con gallerie, con camminamenti coperti…..”
Il Colle di San Giovanni, dall’autunno del 1916 viene gradualmente trasformato in un caposaldo di eccezionale importanza per il controllo di Passo Cinque Croci. Iniziano i lavori di fortificazione con la costruzione di una trincea che da Cima Socede scende a Passo cinque Croci per poi risalire fino alla sommità del Colle San Giovanni. Due prolungamenti di questa trincea vengono realizzati verso versante Nord e verso il Colle della Palazzina. Verso Nord vengono piazzate mitragliatrici e cannoncini per tenere sotto controllo il prospiciente Col dei Fiori, primo avamposto austriaco.
Viene costruito un Blockhaus al Passo Cinque Croci per rafforzare il controllo dello stesso.
Causa la conformazione del terreno, sulla cima dei due colli vengono realizzate solo delle trincee con tetto in tronchi di legno ed assi coperte di terra.
Sul versante Est del Colle di San Giovanni, sugli unici speroni rocciosi esistenti vengono ricavati dei ricoveri in caverna per mitragliatrici. Sulla feritoia di uno di queste postazioni, poco sotto la sommità del Colle, si trova ancora inciso il nome della “compagnia mitraglieri Fiat” che la realizzò.
Colle di San Giovanni e Colle della Palazzina furono avvolte da diverse fasce di reticolato che avrebbero permesso la resistenza per un certo periodo anche nel caso in cui gli austriaci fossero riusciti a prendere il Passo Cinque Croci, interrompendo così il collegamento con la Cima Socede e Forcella Magna.
Anche l’inverno 1916-1917 si distinse per le forti e copiose nevicate. I grossi cumuli creatisi lungo i versanti dei colli incominciarono a staccarsi nella Primavera del 1917 facendo molte vittime. Questi poveri soldati scampati alla furia dei combattimenti ma non alle forze della natura furono sepolti nel piccolo cimitero sul cosiddetto “col dei morti”, luogo sul quale nel 1993 il locale Gruppo Alpini di Scurelle ha eretto una croce in loro ricordo. Il 1917 trascorse relativamente tranquillo su questi monti tranne delle isolate scaramucce. Ma nell’autunno di quell’anno un triste destino si abbatteva sull’esercito italiano: la disfatta di Caporetto. Tutte le postazioni italiane sul Gruppo di Rava – Cima d’Asta vennero in poco tempo abbandonate e con loro viveri, munizioni, armamenti. Fra il 5 e il 6 novembre 1917, in silenzio per non dare nell’occhio agli austriaci, gli italiani ripiegarono sulla linea del Piave e del Monte Grappa dove si consumò l’ultimo atto di questa devastante, lunghissima guerra. Una calma surreale avvolgeva i monti del Lagorai e del massiccio di Rava Cima d’Asta per un intero anno, fino al 4 novembre 1918.